Viaggio a Nanyuki (Kenya) - Racconto di Giulia

Non ci sono parole. Per tutti i volti che ho visto, per tutti gli enormi lucidi occhi che hanno attraversato i miei pensieri.
Solo la vita può conservare questo ricordo, lasciandomi senno, costanza. Grazia. Quando sbarcai a Nairobi era una mattina presto, in agosto, il sole si era appena levato. Afferrato il mio zaino mi avvicinai all'uscita dell'aeroporto. Come stordita.

L'atmosfera era grigiastra, un freddo inaspettato ci accolse intorpiditi. La savana attorno alla pista d'atterraggio mi sembrò soltanto un'apparizione veloce.
Ero in Africa. Sì. Poi la calca di gente all'uscita, asserragliata lì, ad aspettare. Tassisti improvvisati, guide turistiche, sacerdoti, accalappiatori, suore. 


Sempre più stordita cercai il missionario che ci avrebbe ospitato. Mi sarei aspettata un sottile uomo anziano dalla folta barba bianca. Ecco invece Giuseppe. Un missionario laico di Trento che da quarant'anni ha davvero sposato l'Africa. Una foltissima zazzera brizzolata, la figura robusta, il viso indurito dal sole dell'equatore. Incredibile calma da ogni suo gesto. Ci caricò sul suo Toyota. 

Per me ebbe inizio il mese più lungo di tutta la vita. Da quel momento non riuscii ad aprire bocca per qualche giorno. Restai come inebetita nel caos giallastro di Nairobi
Giuseppe ci fece subito attraversare i quartieri prossimi alle baraccopoli, dove si improvvisano mercati straripanti di gente. 

Gente che spunta inspiegabilmente da ogni dove, come dal nulla, e inventa la sua sopravvivenza con una grazia e un silenzio che ha solo odore. Odore. Un odore fortissimo di cibo, plastica e chissà cos'altro, bruciati. 
Un'atmosfera inquieta, fragile ma con un suo ordine, indecifrabile, sottile, ma vigile. 
Vita, vita da ogni parte. File di persone davanti alle fabbriche ad aspettare anche solo un lavoro giornaliero. Persone in cammino dai campi circostanti si riversavano verso la città, bambini, donne ben vestite, mal vestite, uomini. Tutti giovani. 

Giuseppe non smise un attimo di raccontarci tutto. Raccontava, spiegava nella sua disinvoltura, in quella sua flemma rassicurante mentre ci ingarbugliavamo nel traffico disordinato, senza precedenze, brulicante di pulmini di ogni genere stracarichi di gente. Cielo giallastro sopra di noi. Case fatiscenti. 
Ebbi l'impressione in quel momento di trovarmi in una città reduce da una guerra. Nairobi. Vidi la vita lì dentro. Quella vita che ancora si affaccia di notte quando il sonno non accenna ad arrivare. La vita che si dichiarava ai miei occhi in tutta la sua onestà, senza torpore, né distrazione.
Era lì. E basta.

Poi iniziammo ad uscire. Attraversati i grandi viali ci inoltrammo lungo la grande arteria che porta verso il Nord. Ben asfaltata, ampia, sempre dritta. I veicoli vi sfrecciano velocissimi, i matatu, i pulmini privati, sono numerosi, come i posti di blocco della polizia. Di lì il paesaggio iniziò a cambiare incredibilmente circa ogni mezz'ora.


Il mio sguardo fluttuava ipnotizzato lungo la strada, mentre Giuseppe placido continuava a dare spiegazione di ciò che sembrava averci investito in quelle poche ore.

Prima distese sterminate di campi di ananas. Incredibili, enormi infiniti campi. Quelli della Del Monte. Lotte sindacali erano già state fatte per i braccianti. Moltissimi di notte vi si inoltrano per rubare qualche frutto da rivendere il giorno dopo nelle bancarelle lungo la strada.
Ecco. Lungo tutta la strada.
Persone in cammino, bancarelle di rami scuri colme di frutti verde-arancio, donne, file di bambini in divisa che raggiungono la scuola, biciclette.

Terra rossissima.

Dopodiché il paesaggio si fece più umido. Banani, boscaglia fitta sfumata d'un verde cangiante, ma sempre deciso. La strada sempre distesa, veloce, ancora bancarelle, ancora persone sbucavano da ogni parte, in cammino.

Poi stranissimi villaggi cresciuti lungo la strada. Villaggi coloniali sviluppatisi ai due lati dell'asfalto. Villaggi tutti uguali, come senza nome. Mercatini di verdure, casette basse, da Far West.

Tutto sembrava esser cresciuto in quella mattina, al nostro passaggio. L'Africa che mi ero immaginata non apparve. Ebbi bisogno di un po' di giorni per riordinare tutto ciò che vidi. La mente ancora adesso ripercorre ogni giorno quel viaggio che allora mi sembrò infinito. E il petto si gonfia di emozione quando rammento ogni fermata, ogni mercatino, tutte le parole di Giuseppe.

Attraversammo un villaggio particolarmente fangoso che rividi sempre in tale stato ogni volta che vi passai successivamente per andare e tornare da Nairobi.

Quando iniziammo ad avvicinarci a Nanyuki, la città di Giuseppe, il paesaggio incominciò ad inaridirsi, avanzammo verso l'altopiano del Monte Kenya. Tutto si fece più brullo e si moltiplicarono finalmente le acacie, meravigliose maestose acacie attorno a noi.


Nanyuki. Una cittadina irrequieta a 2500 mt dal livello del mare. 100.000 abitanti, una banca, supermercatini di facoltosi indiani, villette nella campagna. Una bidonville, bambini di strada che sniffano la colla. Un inverosimile collage di esistenze. Ancora adesso non riesco a capacitarmi di tutto ciò che stava lì.

All'orizzonte l'innevata vetta del Monte Kenya, circa 5000 metri di altitudine. I vecchi Kikuyu andavano a morire nella boscaglia lì intorno. In mezzo agli animali. Vicini a Dio.


Nairobi-Nanyuki, Nanyuki-Nairobi.

Quante volte sarei salita sul Toyota di Giuseppe per ripercorrere quella strada.
Ero affamata. Affamata di volti. 
Avevo bisogno di rivedere e rivedere, per capire. Ma credo di non aver capito, di non essermi abituata. 

Mi sono sentita minuscola. Un'ospite minuscola. Al sicuro (o quasi) sul bianco Toyota di Giuseppe. Giuseppe mi ha accompagnato in questo viaggio, che conservo come la più grande ricchezza della mia vita. 

Mi ha mostrato le irragionevolezze del Kenya, le baraccopoli, i villaggi anonimi, i troppi funerali. 
Ma soprattutto mi ha mostrato la multiforme capacità di stare al mondo degli Africani. La gioia pulita dei bambini, assetati di conoscenza, sempre curiosi. Vivaci. 

Tutta questa bellezza ha penetrato ogni mio passo, insieme alla dignità, alla religiosità esuberante. Non posso scordare nulla. Nemmeno una parola, una preghiera. I volti dei ragazzini della scuola di Nanyuki. Se Dio vorrà ritornerò. Riattraverserò quella strada che mi ha fatto diventare adulta.

Grazie Giuseppe

(Giulia)

3 commenti :

SERRY ha detto...

Ciao Giulia, vorrei informazioni su Nanyuki, mi puoi ciontattare perfavore? serry8ina@hotmail.com oppure serena zanetti su facebook. grazie!

Emanuel Silci ha detto...

Ciao Serena, il racconto di Giulia risale al 2002 e non abbiamo più suoi contatti. Se vuoi chiedi qui su questi spazi, anch'io son stato a Nanyuki. Ciao!

Anonimo ha detto...

cIAO sERENA...gIUSEPPE, CHE HO CONOSCIUTO ANCHE IO NEL 2003, è DECEDUTO QUALCHE ANNO FA'....CONSERVO GELOSAMENTE TUTTI I RICORDI CHE TU HAI ELENCATO E TUTTA UNA SERIE DI FOTOGRAFIE....MERAVIGLIOSE

COL TOYOTA BIANCO CREAMA ABBIAMO FATTO PIU' DI 3000 KM.